È sabato, sono le 5 del mattino, tra poche ore si infiltra ma molto prima suonerà la sveglia, e di dormire proprio non se ne parla. Certo la paella, tipica della val di Susa, piantata sullo stomaco è una dolce compagnia, ma non è solo quello: ci sono tanta tensione, timori e dubbi, vagamente dissimulati dai consueti rituali goliardici ed allegre abbuffate, ma quando scende il buio ed arriva il silenzio, eccoli tutti lì che ti aspettano.
Era tanto che non giocavamo a questo livello, ed il tempo passa per tutti, nonostante i nostri sforzi per ignorarlo; le aspettative sono alte e giocare con i migliori comporta sempre un prezzo da pagare.
Il campo, l’abbiamo capito, è molto impegnativo, i sentieri pochi, e per quanto ci si sforzi non è facile leggere quali vie sono praticabili e dove invece pendenze e vegetazione ti complicheranno la vita, perché oltre alla sicurezza vanno tenute sotto controllo la stanchezza, la motivazione, l’umore e tutte le altre peculiarità e fragilità che ogni membro della squadra ha, te stesso in primis.
E così si riaccende il pc, si spostano il waypoint, si rilegge il book e dalla finestra inesorabilmente si fa luce.
Il team è collaudato, per il ritorno sul campo abbiamo optato per soli operatori con esperienza: con me (Jager), Spider, Void e Ruben giochi sul velluto. La pianificazione è stata meticolosa, non c’è più molto da dirsi: poche indicazioni, controlli di routine, ed eccoci sulle montagne della val di Susa.
L’imprevisto si sa fa parte del gioco, a volte è voluto a volte no, ma questo è di quelli che ti sballa ogni pianificazione: una nebbia così fitta da non darti più di 30m di visibilità. Siamo spiazzati ma decidiamo comunque di seguire il piano, salirà pensiamo, e ci illudevamo.
Arrivati di notte non abbiamo avuto modo di renderci conto di quanto fossero impegnative le pendenze, ma il primo sentiero lungo le piste da sci ci ha subito ricordato che queste sono le alpi e questo è il gioco più bello del mondo. Che emozione trovarsi di nuovo sul campo, il resto scompare, ora c’è solo la missione da portare a termine.
Si cammina, un passo dopo l’altro, fino a quota 1800 dove avevamo previsto l’osservazione dell’obiettivo principale: la comune degli estremisti Davidiani. Niente da fare, non si vede nulla, chiediamo a Mother indicazioni sulle previsioni meteo nebbia, sembra che debba diradarsi, aspettiamo, ma passa 1h e nulla è cambiato. Fa freddo e non possiamo perdere altro tempo: decidiamo quindi di ripartire muovendoci lungo il profilo della montagna e cercando di mantenere la stessa quota per giungere dall’alto all’obiettivo successivo. Ci abbiamo provato, per oltre 2 ore, fino a 1900m di altezza, ma la pendenza è proibitiva, la visibilità scarsa, i torrenti hanno scavato canali e la vegetazione è bassa e ramificata: ci stavamo stancando troppo, si andava piano, ma soprattutto stava diventando troppo pericoloso.
Decidiamo quindi di scendere per fare una ricognizione direttamente dentro l’area dell’obj: letteralmente casa per casa. E così la nebbia, che ci aveva creato tanti problemi, improvvisamente diventa nostra preziosa alleata, rendendoci ombre silenziose nel mezzo dell’accampamento ostile.
Dopo una faticosissima discesa, lasciati gli zaini, ci muoviamo furtivi nella zona “blu”: tensione alle stelle aggiriamo pattuglie, ci nascondiamo da veicoli in movimento ed operatori in cerca di “privacy”, troviamo l’hq nemico ma la nebbia ci obbliga a portarci a 10m per fare foto e prendere le coordinate. Per fortuna la nebbia ci protegge, nessuno ci vede e ci allontaniamo per compilare la range card di rito da trasmette a Mother.
Ci si inerpica quindi verso l’obiettivo della fossa comune, che approcciamo da tre direzioni differenti; osserviamo i movimenti della pattuglia, attendiamo il momento opportuno e poi sbuchiamo come fantasmi materializzati dalla coltre bianca che avvolge ogni cosa. Due “toc” contemporanei attutiti dall’umidità ricordano alla pattuglia che c’è in giro gente aggressiva e determinata. Recuperata la password, localizziamo il leader Davidiano tramite l’ingegnoso sistema scelto dai Marsoc e procediamo per intercettarlo, ma si sposta continuamente in auto. Tentiamo due volte mancandolo sempre di pochissimo, “vabbè” concordiamo, “lo braccheremo poi”.
Tornati nuovamente in area calda procediamo la ricognizione sui rimanenti edifici per localizzare il deposito di materiale radioattivo, che puntualmente preleviamo, per poi riavvicinarci all’HQ dove alle 18.00 è previsto il delirante discorso del leader Davidiano sulla immancabile punizione divina che intende infliggere al mondo infedele. Sdraiati tra la vegetazione è divertente incontrare svariati interditori impegnati nel medesimo intento e scambiare qualche battuta con loro.
Terminato il proclama ci spostiamo sull’altro fianco della montagna per disinnescare l’autobomba ed acquisire nuove compromettenti prove sugli intenti terroristici della comunità. Sta facendo buio ormai e con la onnipresente nebbia si riesce a camminare in sicurezza in prossimità delle strade, per fortuna.
Giunti sull’obj cerchiamo di approcciarlo dall’alto, ma la vegetazione non ci aiuta e finiamo per fare troppo rumore allertando le sentinelle. Ne scaturisce un breve scontro a fuoco dal quale usciamo vincenti, non prima però di avermi consentito un brillante “blu su blu” sul povero Ruben, colpevole di essermi sbucato frontalmente (errore suo chiaramente ). In trance agonistica proseguiamo verso un veicolo acceso nelle vicinanze, e li immobile sta un losco figuro in piedi: un millesimo prima di fare la seconda cazzata della giornata mi balena un’idea meravigliosa, gli intimo quindi di arrendersi, lo catturiamo e guarda un po' è proprio il leader dei Davidiani che abbiamo mancato in precedenza…. come diceva Napoleone: “il miglior piano non vale quanto una botta di c..”.
Festanti e giulivi comunichiamo a Mother l’arresto del cattivone, convinti di aver magnificamente terminato la missione alle 00:40, quasi 9 ore prima del termine massimo. Ma non è così, c’è ancora un ultimo obiettivo: l’antenna radio, posta esattamente dall’altro lato dell’area operativa.
E vabbè, poco male, ormai galvanizzati trotterelliamo indietro fino agli zaini, della contro non c’è traccia, ci cambiamo e ceniamo; quindi, carichi come muli, ripartiamo verso l’ultima tappa, questa volta armati di visori.
E meno male che avevamo i visori. Giunti nei pressi ci rendiamo subito conto che questa volta la situazione è ben diversa: due potenti torce IR dall’alto setacciano continuamente ogni via di accesso, e poco dopo una seconda pattuglia (il cambio) si aggrega ai compagni, evidentemente insospettiti da qualche rumore, trattenendosi nell’area invece di rientrare all’HQ.
4 visori contro 4 visori, nessuna luce visibile accesa, difesa allertata, parzialmente occultata ed in posizione rialzata rispetto alla linea di approccio dell’assalto: una situazione non proprio vantaggiosa per noi. Dopo aver passato oltre 45 minuti bloccati immobili lungo strada sotto le torce ostili ed attendendo il momento per potersi muovere senza essere tritati, finalmente riusciamo a dividerci ed approcciare da due direttrici diverse. Ci vuole una vita a salire ed ogni pochi passi la torcia IR ti passa sopra la testa costringendoti a sdraiarti immobile. L’adrenalina sale a compensare stanchezza e sudore. Finalmente in posizione ingaggiamo dai fianchi eliminando rapidamente le sentinelle visibili, ma le altre due rimaste tutto il tempo occultate ed immobili ci sorprendono, e complice anche il mio secondo brillantissimo “blu su blu” su Ruben (non impara il ragazzo però è…) abbiamo la peggio.
Peccato, un po' di stanchezza ed il mio errore di troppo ci ha tolto la ciliegina dalla torta… certo un atteggiamento più “fair” della contro avrebbe probabilmente portato ad un epilogo differente, ma va bene così, è finita e possiamo esfiltrare, stanchi ma con onore.
Si conclude così la nostra “Operazione Anaconda”, immersi in un paesaggio mozzafiato, un bellissimo evento organizzato dagli amici della 1° Marsoc in linea con lo spirito ed il livello che ha sempre caratterizzato gli eventi del Circuito, e che soprattutto ha segnato la ripresa delle attività, finalmente.
Un grazie speciale ai ragazzi della 1° Marsoc e Zarruele (spero di non scordare nessuno) che si sono sbattuti per organizzare come un orologio svizzero un evento di questo livello, che comporta complessità non banali, a cominciare da quelle logistiche.
Infine, come sempre, il grazie più profondo ai miei impeccabili compagni di viaggio; amici con cui ho condiviso ogni singolo passo di questo evento, e da anni ormai condivido questa incredibile passione.
L’ultima considerazione spetta alla protagonista principale dell’evento: la nebbia. Come ogni prima donna con i suoi capricci ci ha costretto a fare solo quello che voleva lei, e con la sua incredibile bellezza ci ha immersi in un paesaggio fiabesco rendendoci invisibili, come ombre nel silenzio.
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